venerdì 22 febbraio 2013

Beatrice Feo Filangeri: San Sebastiano secondo il" POP B"

BEATRICE FEO FILANGERI
"San Sebastiano Pop barocco"


 
BEATRICE FEO FILANGERI
"San Sebastiano Pop barocco"
disegno,pastelli e acquerello su cartoncino cm 100x70
 
The Pop Barocco of Beatrice Feo Filangeri -© tutti i diritti riservati
 
 
STORIA DI SAN SEBASTIANO
Biografia 
Secondo la leggenda il santo visse quando l'impero era guidato da Diocleziano. Nacque forse a Milano da padre di Narbona e da madre milanese, e fu istruito nei principi della fede cristiana. Si recò poi a Roma dove entrò a contatto con la cerchia militare alla diretta dipendenza degli imperatori. Divenuto alto ufficiale dell'esercito imperiale, fece presto carriera e fu il comandante della prestigiosa prima coorte della prima legione, di stanza a Roma per la difesa dell'Imperatore. In questo contesto, forte del suo ruolo, poté sostenere i cristiani incarcerati, provvedere alla sepoltura dei martiri e diffondere il cristianesimo tra i funzionari e i militari di corte, approfittando della propria carica imperiale. La Passio racconta che un giorno due giovani cristiani, Marco e Marcelliano, figli di un certo Tranquillino, furono arrestati su ordine del prefetto Cromazio. Il padre fece appello a una dilazione di trenta giorni per il processo, per convincere i figli a desistere e sottrarsi alla condanna sacrificando agli dei. I fratelli erano ormai sul punto di cedere quando Sebastiano fece loro visita persuadendoli a perserverare nella loro fede e a superare eroicamente la morte. Mentre dialogava con loro, il viso del tribuno fu irradiato da una luce miracolosa che lasciò esterrefatti i presenti, tra cui Zoe, la moglie di Nicostrato, capo della cancelleria imperiale, muta da sei anni. La donna si prostrò ai piedi del tribuno il quale, invocando la grazia divina, le pose le proprie mani sulle labbra e fece un segno di croce, ridonandole la voce.
Il prodigio di Sebastiano portò alla conversione un nutrito numero di presenti: Zoe col marito Nicostrato e il cognato Castorio, il prefetto romano Cromazio e suo figlio Tiburzio. Cromazio rinunciò alla propria carica di prefetto e si ritirò con altri cristiani convertiti in una sua villa in Campania. Il figlio invece rimase a Roma dove patì il martirio, poi, uno a uno, anche gli altri neocristiani morirono per aver abbracciato la nuova religione: Marco e Marcelliano finirono trafitti da lance, il loro padre Tranquillino lapidato, Zoe sospesa per i capelli a un albero e arrostita.
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Quando Diocleziano, che aveva in profondo odio i fedeli a Cristo, scoprì che Sebastiano era cristiano esclamò: “Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me.”; Sebastiano fu quindi da lui condannato a morte. Fu legato ad un palo in un sito del colle Palatino, denudato, e trafitto da così tante frecce da sembrare un istrice. I soldati, al vederlo morente e perforato dai dardi, lo credettero morto e lo abbandonarono sul luogo affinché le sue carni cibassero le bestie selvatiche; ma non lo era, e Santa Irene, che andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura, si accorse che il soldato era ancora vivo, per cui lo trasportò nella sua dimora sul Palatino e prese a curarlo dalle molte ferite con pia dedizione. Sebastiano, prodigiosamente sanato, nonostante i suoi amici gli consigliassero di abbandonare la città, decise di proclamare la sua fede al cospetto dell'imperatore che gli aveva comminato il supplizio. Il santo raggiunse coraggiosamente Diocleziano e il suo associato Massimiano, che presiedevano alle funzioni nel tempio eretto da Eliogabalo, in onore del Sole Invitto, poi dedicato a Ercole, e li rimproverò per le persecuzioni contro i cristiani. Sorpreso alla vista del suo soldato ancora vivo, Diocleziano diede freddamente ordine che Sebastiano fosse flagellato a morte, castigo che fu eseguito nel 304 nell'ippodromo del Palatino, per poi gettarne il corpo nella Cloaca Maxima.
Ambrogio (340-397) nel suo Commento al salmo 118 riferisce che Sebastiano era originario di Milano e si era trasferito a Roma. Informazioni e leggende sulla sua vita sono narrate nella Legenda Aurea scritta da Jacopo da Varagine e in particolare nella Passio Sancti Sebastiani ("Passione di San Sebastiano"), opera a cura di Arnobio il Giovane, monaco del V secolo. Dato storico certo, che ne testimonia il culto sin dai primi secoli, è l'inserimento del nome di Sebastiano nella Depositio martyrum, il più antico calendario della Chiesa di Roma e risalente al 354.
Tuttavia le biografie e le leggende che lo narrano al servizio di Diocleziano a Roma o l'intervento di Ivo l'Imperatore nelle vicende del suo martirio, comprese quelle attestate da Sant'Ambrogio poco dopo, sono spurie perché Diocleziano non risiedette mai a Roma.
Sebastiano, martirizzato sotto Diocleziano, viene raffigurato solitamente trafitto da frecce.
La salma venne recuperata da mani pietose e sepolta nelle catacombe che oggi vengono appunto dette "di San Sebastiano". San Sebastiano sarebbe stato martirizzato sui gradus Helagabali ovvero i gradini di Elagabalo. In quello stesso luogo venne eretta una chiesa in suo nome. I gradini di Elagabalo si identificano, forse, in un tempio Romano sul versante orientale del Palatino.
La leggenda del soldato martire dal corpo efebico e glabro ha interessato pittori e scultori di ogni era, il che ha portato a concentrare gli artisti sull'iconografia del santo nudo dalla bella anatomia a discapito di quella del militare maturo. Il santo era tra l'altro una delle poche figure nude che avevano il diritto di stare in una chiesa. Emblematico è l'episodio tramandato da Giorgio Vasari nelle Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori in merito al pittore Fra Bartolomeo.
« [...] Laonde per prova fece in un quadro, un San Sebastiano ignudo con colorito molto alla carne simile, di dolce aria e di corrispondente bellezza alla persona parimente finito, dove infinite lode acquistò appresso agli artefici. Dicesi che, stando in chiesa per mostra questa figura, avevano trovato i frati nelle confessioni, donne che nel guardarlo avevano peccato per la leggiadria e lasciva imitazione del vivo, datagli dalla virtù di fra’ Bartolomeo; per il che levatolo di chiesa, lo misero nel capitolo [...] »
Sicché il suo stato di santo ha cristallizzato per secoli le raffigurazioni del giovane ignudo col corpo bello e virile trafitto da frecce, o dal fisico nudo che si abbandona languidamente alle cure di angeli.
 
 

sabato 16 febbraio 2013